Roni Horn
Untitled
(“One can recognize a great cold [in Yakutsk], she explains to me, by the bright, shining mist that hangs in the air. When a person walks, a corridor forms in this mist. The corridor has the shape of that person’s silhouette. The person passes, but the corridor remains, immobile in the mist.”)
ROGUE HUE
I. Suddiviso in due parti, il film Melancholia di Lars von Trier è in apparenza la storia di due sorelle: Justine – emotivamente disturbata, che abbandona il fidanzato sull’altare – e l’equilibrata Claire, con marito e figlio. Ma c’è anche un terzo protagonista, nominato nel titolo: il pianeta orfano Melancholia che, a causa di un’anomalia astronomica conosciuta come la danza della morte, è in rotta di collisione con la Terra. La prima parte del film rappresenta la disgregazione psichica di Justine, che cade in una profonda depressione e si ritira dal mondo. Nella seconda parte, Justine osserva l’imminente catastrofe con indifferenza: il suo trauma è infatti già accaduto ed è ormai del tutto alienata. In una scena notturna, fa il bagno nuda alla luce radiosa del sempre più incombente Melancholia, come se venisse attratta nell’orbita irregolare del pianeta dalla sua forza di gravità. Nel frattempo, Claire prova febbrilmente a rifiutare e poi fuggire il suo destino avverso, ricorrendo infine al pensiero magico. I loro cambiamenti di identità e gli stati d’animo altalenanti sono influenzati e riflessi dal magnifico ma nefasto pianeta orfano che, nonostante sia irradiato di luce, non dà alcun riflesso.
II. In Untitled (“One can recognize…”), Roni Horn ha posizionato un oggetto di vetro di forma rotonda in una stanzetta dimessa nascosta in un angolo di Villa Ricucci. L’artista mette in scena, tramite le proprietà intrinseche dei materiali scelti, un incontro senza mediazioni, realizzato con puntualità sebbene ancora metaforicamente aperto. La scultura rappresenta il paradosso per cui più qualcosa è trasparente, più è misterioso. L’opera, adagiandosi modesta su un pavimento ricoperto di terra, è illuminata esclusivamente dalla luce naturale che proviene da una finestra a nord-est. Il suo colore cambia con il trascorrere delle ore del giorno e delle stagioni – a volte è un tenue bianco, a volte una pallida sfumatura di blu. La luce del Chianti, con le sue specifiche qualità, diviene quindi una presenza materiale che crea un complesso paesaggio. È come se Horn avesse portato la Luna all’interno di uno spazio chiuso. L’interazione dialettica tra la luce e il vetro accresce nel visitatore la consapevolezza dell’instabile mutabilità che colpisce la percezione e l’identità.
Philip Larratt-Smith